NOTAI DELLA STORIA
Cuneo, 21 ottobre 2006
Chi si occupa di studi storici è colpito dalla centralità del ruolo svolto dai notai nella vita delle istituzioni supreme. La memoria corre a Vittorio Emanuele III. Nel maggio 1946 il sovrano dimorava a Napoli, a villa Maria Pia. Da giorni si infittivano voci sull’imminenza della sua abdicazione. Alle 12,45 del 9, senza preavviso, lo raggiunsero suo figlio, Umberto principe di Piemonte, dal 5 giugno 1944 luogotenente del re (poi “del regno”), il duca Pietro d’Acquarone e altri. Recavano la richiesta di abdicazione e partenza dell’anziano re in giornata. Il comando anglo-americano (ammiraglio Ellery Stone) era d’accordo; il presidente del Consiglio dei ministri, Alcide De Gasperi, quanto meno ne era informato. Alle 15 Vittorio Emanuele III consegnò la dichiarazione. Il notaio Nicola Angrisani, sollecitato a rogare l’atto, osservò che esso era redatto su carta semplice. Il re s’appartò e copiò su carta bollata. Consegnò il foglio. Era pallido e un leggero tremore agli angoli della bocca ne tradiva l’emozione. Il notaio lo lesse. Vide che era datato 6 maggio. Lo fece constatare. Il sovrano corresse allora in 9, con un vigoroso tratto di penna. Con ogni evidenza aveva scritto il testo originario tre giorni prima, prendendo a modello l’abdicazione a suo tempo firmata da Carlo Alberto, re di Sardegna, a favore del figlio Vittorio Emanuele II. Alla partenza per l’esilio a Oporto, Carlo Alberto aveva preso titolo di conte di Barge. Vittorio Emanuele III scelse quello di conte di Pollenzo, ove per decenni aveva seguito i progressi dei poderi sperimentali e trascorso ore di studio e di meditazione: una conferma, se mai ve ne fosse bisogno, del legame della Casa con la Provincia Granda. Alle 19,40 – scortato dal cacciatorpediniere “Granatiere” – l’incrociatore “Duca degli Abruzzi” levò l’ancora dal molo di Posillipo alla volta di Alessandria d’Egitto. Recava il re, la regina Elena e un seguito di cinque persone.
Sorprende che Vittorio Emanuele III abbia inizialmente consegnato l’abdicazione su carta comune.
Non si trattò di distrazione. Lo fece – è da credere – perché la visita del figlio e la richiesta erano giunte all’improvviso: presentò un foglio verosimilmente vergato tre giorni prima.
Quanto fosse scrupoloso è confermato, infatti, dal suo aiutante di campo, generale Paolo Puntoni. Il 27 giugno al re pervenne la celebre lettera di Galeazzo Ciano, genero di Benito Mussolini. Poco prima di essere fucilato al poligono di Verona, “nell’ora estrema della sua vita” l’ex ministro degli Esteri levò un “devoto pensiero alla maestà” del re, di cui, cavaliere della SS.
Annunziata, era “cugino”, e gli scrisse: “Né sulla monarchia, né sul popolo, né sullo stesso governo può cadere la minima colpa del dolore che attanaglia oggi la patria”. La responsabilità andava addebitata a “un uomo, un uomo solo”. Dopo averla letta, Vittorio Emanuele III commentò l’importanza della testimonianza: “Intanto l’ho fatta portare a Roma da Acquarone perché provveda a farla legalizzare e a depositarla in copia da un notaio”.
Niente notai, niente storia si potrebbe concludere.
Chi abbia pratica di studi storici non fatica però a constatare che gli archivi notarili rimangono utilizzati dagli studi meno di quanto sia desiderabile, soprattutto per la storia dell’Otto-Novecento.
Anche l’Archivio di Stato di Cuneo è una miniera preziosa di atti notarili. Vi si conservano originali in serie quasi continue, sia di originali (quando l’atto non venne insinuato) sia in copie. Vi si conservano atti dal 1449 per il Monregalese, dal 1527 per il Saluzzese, dal 1556 per l’Albese e dal 1561 per il distretto di Cuneo: una raccolta imponente, comprendente 29.045 volumi. Le miscellanee contengono documenti di uffici d’insinuazione. Diligentissimi elenchi facilitano la consultazione.
La ripartizione degli atti risponde a quella del Dipartimento della Stura istituito dopo l’annessione della Provincia Granda alla repubblica francese (1798) e, con poche significative modifiche, confermato da Napoleone, primo console prima, imperatore poi (1800-1814). Nel Settecento, quando l’attuale provincia di Cuneo risultò tutta inclusa nei domini sabaudi, il territorio della Granda contava cinque province. Al suo centro v’era quella di Fossano, che insisteva su un territorio poi ripartito tra i quattro circondari. La determinazione dei confini in età napoleonica non fu affatto capricciosa. Inizialmente il Dipartimento della Stura incluse anche Oneglia; poi Ceva entrò a far parte del Dipartimento di Montenotte, mentre l’Albese venne aggregato con Asti nel dipartimento del Tanaro. Dal 1° vendemmiaio dell’anno XIV, 23 settembre 1805, il Dipartimento della Stura assunse assetto stabile. Contò i cinque arrondissements di Cuneo, Alba, Mondovì, Saluzzo e, baricentrico, Savigliano, direttamente confinante con il Dipartimento dell’Eridano (Torino) a differenza dell’antica provincia di Fossano. Capoluogo politico-amministrativo venne confermata la città di Cuneo, sede di prefettura ma militarmente meno importante che in passato e all’epoca non ancora sede di vescovado (lo divenne nel 1817). Mondovì, designata inizialmente quale centro del Dipartimento e sede di antichissima prestigiosa diocesi, non la prese bene. Saluzzo, a sua volta sede di diocesi dal 1511, si arroccò nella tradizione del marchesato. Alba continuò a strizzare l’occhio ad Asti. Con la Restaurazione (1814) quei confini però rimasero. Mutò la denominazione istituzionale: intendente e sottointendenti sostituirono prefetti e sottoprefetti. Con la riforma degli enti locali varata da Carlo Alberto i governatori sostituirono gl’intendenti. Dal 23 ottobre 1859 il nuovo ordinamento comunale e provinciale del regno ribadì i confini della Granda, ripartita in quattro circondari, sedi di sottoprefetti, tra i quali rimase celebre Amedeo Nasalli Rocca che nelle Memorie di un prefetto (pubblicate postume, nel 1946) descrisse gli anni trascorsi a Saluzzo e poi nel capoluogo.
Quella ripartizione è ricalcata dai distretti notarili le cui carte sono conservate all’Archivio di Stato: fonte preziosa per l’esplorazione della società in ogni suo minuto aspetto, ma anche, sappiamo, per la storia dell’economia, dei costumi e della lingua.
Quando ci si accosta alla imponente raccolta di volumi – quasi un esercito: e non di argilla – il pensiero va grato a chi giorno per giorno, anno dopo anno vi consegnò memoria della vita quotidiana, con una percezione del tempo che di per sé meriterà di essere indagata e approfondita: meno legata alle cronache, più alla lunga durata.
Aldo A. Mola
prefazione scritta dallo storico Prof. Aldo A. Mola – Direttore del Centro Europeo “Giovanni Giolitti” per lo Studio dello Stato, al “Ruolo” dei notai del Collegio di Cuneo stampato, con le relative fotografie a colori, in occasione dell’inaugurazione dei locali della nuova sede del Consiglio Notarile di Cuneo.
